di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale dell’Ugl

I più indulgenti con la Storia provano spesso a non buttare il bambino con l’acqua sporca: di Karl Marx non è il pensiero ad essere in discussione, con la distinzione fra struttura, vale a dire l’economia, e le sovrastrutture, tutto il resto, ma la sua concretizzazione pratica. A cento anni dalla Rivoluzione d’ottobre si può affermare che anche l’economista Marx non avesse colto nel segno o che, quanto meno, il popolo si muove oggi su altri paradigmi. Abituati come siamo a dare la massima importanza all’economia, quasi quotidianamente si scatena la ricorsa a commentare la statistica di turno: prodotto interno lordo, debito pubblico, bilancia commerciale, occupazione, disoccupazione, povertà e via discorrendo. Di qui, i tanti articoli che ci raccontano che quel dato Paese vota a destra perché la disoccupazione cresce e le famiglie non riescono ad andare avanti o che quel tal’altro Stato vira al centro poiché la media borghesia è riuscita a mantenersi in forma. In realtà, come si evince dalla lettura delle pagine che seguono non vi è una tendenza univoca. La Germania continua a macinare utili su utili, crescono i redditi e l’occupazione, eppure l’elettorato appare stanco di Angela Merkel e premia i nazionalisti. Situazione simile anche fra i cugini austriaci che mandano al governo il poco più che trentenne Sebastian Kurz e, contemporaneamente, votano in massa la formazione nazionalista Fpo. In Francia, Macron vince le elezioni presidenziali e le successive amministrative grazie soprattutto al sistema elettorale a doppio turno e all’ostracismo nei confronti della destra nazionalista. Intanto, l’economia francese tentenna, soprattutto a livello di bilancia commerciale, con le importazioni che crescono più dell’export. La Gran Bretagna sembra aver perso la sua tradizionale bussola, in economia, come in politica. Aumentano i nuovi poveri, i redditi netti calano vistosamente, tutto ciò mentre viene meno il bipartitismo storico e non si comprende ancora come si intendano affrontare gli effetti del referendum dello scorso anno sull’uscita del Regno unito dall’Unione europea. Lo stesso partito scozzese, fortemente schierato contro la Brexit, perde posizioni, dopo aver sostenuto l’ipotesi di lasciare la corona. Nel frattempo, pure la Spagna naviga a vista: dalle elezioni continua a non uscire una maggioranza di governo stabile, esplodono povertà e disoccupazione e la parte più ricca decide di abbandonare baracca e burattini. Vince il centrodestra, ma è una vittoria molto relativa, in quanto la maggioranza dei voti va a formazioni di centro e di sinistra, comprese quelle con vocazione autonomista. Volgendo lo sguardo ad est, la situazione non cambia. Anzi. La Polonia che abbatte il numero dei suoi poveri, anche grazie all’utilizzo puntuale dei fondi europei, dovrebbe premiare il centro europeista ed invece è probabilmente oggi il Paese più a destra nel vecchio continente. La Romania archivia velocemente l’esperienza del governo tecnico, premia la sinistra socialdemocratica e vede presentarsi alle elezioni una dozzina di nuove formazioni politiche pronte ad intercettare il malcontento, mentre in Bulgaria la locale formazione politica imparentata con il Partito popolare europeo non si fa problemi a governare con la destra nazionalista. Insomma, da qualsiasi parte la si voglia leggere, a muovere il popolo sovrano, più che l’economia, sono le idee, le sensazioni, le pulsioni, le percezioni della realtà.